Questa è la storia di quando la vita si è presa gioco della morte, ma purtroppo non c’è nulla da ridere.
Che voi ci crediate o meno, c’è stato un tempo che per fortuna è andato perso, una Francia in cui essere felici non era concesso, ridere era pericoloso, far ridere era un affronto al volere del Re.
“Chi avrà un sorriso in faccia, non avrà più una testa!” aveva abbaiato al suo regno e come cani, i sudditi avevano ubbidito.
La risata, ahimè, è come il volto di un morto: con il passare del tempo, anche la memoria lo dimentica. Ecco perché chi smette di ridere, presto si dimentica come si fa.
A loro volta, i piaceri della vita diventarono fastidi. Le biblioteche erano piene di banchi di nebbia su cui sfogliare pagine di pietra; ai banconi delle taverne venivano versati bicchieri pieni di sabbia; fare l’amore faceva male.
Piano piano, la vita avevo perso i colori, proprio come se fosse un vecchio telo su cui ci siam lavati troppe volte le mani.
Li vedevi girare, questi cani di uomo, tra le strade rocciose senza una meta, senza una soddisfazione. In fondo, non c’è gioia di esistere, se non esistono gioie.
In questa Francia senza più un filo logico, c’era ancora qualcuno che, per mestiere e per diletto, cercava di tirarlo nella giusta direzione. Era Pierre, il vecchio burattinaio di Place Jeanne d’Arc.
Lui di ridere ne era ancora capace, ma non poteva perché se l’avessero sentito, sarebbe stato imprigionato. E si sa, il suono della risata è contagioso come la peste, e in quei tempi, altrettanto pericoloso.
Di anni ne aveva tanti, il vecchio Pierre, tanti quante erano le marionette che aveva nella sua bottega. La morte lo aspettava alle porte, ma lui decise che questa volta sarebbe uscito dal retro. Voleva andarsene a suo modo. In fondo, il miglior modo per sconfiggere la morte, pensò, è batterla sul tempo.
Per arrivare prima di lei, gli ci volle una notte intera.
Quando tutti erano rientrati nelle loro case, Pierre era uscito dalla sua bottega. Aveva portato con sé tutte le marionette a cui aveva dato vita in quegli anni ed era arrivato il momento di dar vita anche al più grande spettacolo che la Francia avesse mai visto.
Con chirurgica precisione, il vecchio burattinaio di Place Jeanne d’Arc aveva allestito scene teatrali per tutta la città. Le sue marionette erano ovunque e sembravano recitare da sole scene d’amore principesche, di guerre contro i draghi e di pirati coraggiosi. Si calavano dagli alberi, si appoggiavano sulle panchine, erano contro i muri, all’ingresso delle porte, nelle fontane, nelle foglie.
La città era diventata il palcoscenico di uno spettacolo a cui tutti avrebbero assistito.
Quando il sole si svegliò, alzandosi dalle colline, Pierre stava tornando verso la sua cara e vecchia bottega. Il suo stanco ciondolare venne però interrotto dalla risata di un bambino, il suono della vita. Si paralizzò, come se fosse egli stesso una marionetta e quella risata il suo burattinaio. Subito dopo ne sentì un’altra, gli arrivò forte e feroce come un pugno al cuore, ma senza dolore.
In poco tempo, scese sulla città una pioggia di risate. Ma in questa tempesta arrivarono come tuoni le guardie del Re che bussarono alle porte della bottega di Pierre.
Consapevole del suo destino, non oppose resistenza e venne portato immediatamente nella piazza della città.
Non si era mai visto prima un affronto del genere, ma si era sentito forte e chiaro e adesso l’unico rumore che il Re voleva udire, era quello della lama sulle ossa del collo del vecchio burattinaio.
Pierre venne trascinato senza gloria, ritrovandosi da solo davanti a una folla di gente mai vista prima che, col suo fetore, copriva il profumo della vita. Una folla paragonabile alle folle delle scommesse di corse sui cavalli o cani, di bestie, insomma; e lui bestia non era ma lo facevano sentire.
Una donna sotto di lui scosse in altre direzioni il suo pensiero, gridando:
“Guillotine!”
Più della parola, lo percosse il timbro di voce: un urlo animale pregno di sudore e paura. Paura. Ma di cosa? Perché la felicità aveva tutto d’un tratto spaventato tutti?
Col piede destro si fermò sul terzo e ultimo gradino della sua vita e questa volta si sentì vociare “Coupable! Colpevole!”
Ma a lui non dette fastidio: è come dire a un negro che la sua pelle non è bianca, sta a lui trovare nella verità l’insulto.
In ginocchio, con la testa immobile e lo sguardo fisso, Pierre notò davanti a lui un bambino che teneva fra le mani una sua marionetta. Gli sorrise e il bambino sorrise a sua volta. Questo bastava.
“Pierre Roux, lei è condannato a morte per aver fatto ridere la gente, per aver riso, per essere stato felice, per aver provato gioia e averla fatta provare ad altre persone.”
Disse il carceriere. E poi “Quali sono le sue ultime parole?”
Pierre rispose “Una vita senza risate, rende la morte piena di vita.”
E mentre scoppiò a ridere come se avesse cinque anni e gli stessero facendo il solletico, il carceriere gridò “Guillotine!”
La vita di Pierre finisce qui, ma la nostra storia continua e diventa la storia di Guilleume il giullare, di Francois il comico, di Sarah la scrittrice di favole, di Bernard il giocoliere e di altri eroi che si ricordarono come si fa a ridere.
Altre tremiladuecento persone vennero ghigliottinate perché avevano trovato il coraggio di essere felici, di ridere e far ridere; di morire piuttosto che vivere mossi dai fili freddi e metallici di un sovrano che aveva perso la ragione.
Questa storia finisce una notte di Ottobre, quando il Re si uccise nelle sue stanze.
Lo trovarono nel suo letto con le orecchie tagliate e un pugnale nel cuore.
Era tormentato, diceva, da delle risate che ogni notte provenivano dal cimitero.
Si era infatti convinto che a ridere fossero gli uomini che aveva fatto ghigliottinare.
“Ho tagliato le loro teste perché ridevano e adesso le loro risate sono entrate nella mia e non vogliono più uscirne.”
In effetti, dice il becchino, c’è qualcosa di strano in quelle teste appoggiate l’una di fianco all’altra sui lunghi scaffali di pietra. Sul loro volto non c’è nessun segno di paura, anzi, ridono; sembrano tutti morti dal ridere.